17 May
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COSA DICE LA COSTITUZIONE AL RIGUARDO.

  1. Gli articoli 97 e 98 della Costituzione.
    Il D. Lgs. 165/2001 si apre (art.1) con una dichiarazione di “rispetto dell’articolo
    97, comma 1, della Costituzione”, che vorrebbe i pubblici uffici organizzati “in modo
    che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. L’art.98,
    comma 1, della Costituzione, dal canto suo, vorrebbe pubblici impiegati “al servizio
    esclusivo della nazione”, indi dell’Ente (non del politico di turno), chiamati sì ad attuare l’indirizzo e le direttive politiche dettate dagli organi competenti nelle forme
    previste dall’ordinamento, ma garantendo al contempo la correttezza dell’azione
    amministrativa.
    Fino a quando il “partito unico delle mani libere nella pubblica amministrazione”
    non sarà riuscito a togliere di mezzo gli artt.97 e 98 Cost., con essi si dovrà fare i
    conti per l’interpretazione (costituzionalmente orientata) e per la conseguente (e coerente) applicazione delle norme, ivi comprese quelle contenute nel D. Lgs. 165/2001
    e nel D. Lgs. 267/2000, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali (1).
    (1) Ai sensi dell’art.88 T.U. Enti Locali: “All’ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti ed i
    segretari comunali e provinciali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni nonché
    quelle contenute nel presente testo unico”.
    L’art.111 T.U. Enti Locali, sotto la rubrica “Adeguamento della disciplina della dirigenza”, statuisce che “Gli enti locali, tenendo
    conto delle proprie peculiarità, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano lo statuto ed il regolamento ai principi del presente capo e del capo II del decreto legislativo del 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni ed
    integrazioni”.
    Gli articoli 97 e 98 della Costituzione costituiscono punto di riferimento anche
    per valutare la correttezza (non solo degli atti organizzativi, ma anche) delle determinazioni organizzative (e delle misure per la gestione dei rapporti di lavoro) adottate dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. L’opinione contraria non può essere condivisa perché innanzitutto
    non tiene conto del fatto che è la stessa legge, come vedremo, a richiedere che le
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    determinazioni organizzative (e le misure per la gestione dei rapporti di lavoro) siano
    finalizzate ad attuare i principi di buona amministrazione e ad assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa. E poi perché è sufficiente sfogliare un qualsiasi repertorio di giurisprudenza per vedere come nell’ambito dei rapporti di lavoro privato gli istituti vengano riguardati anche alla luce di quanto prescrive l’art.41 della Costituzione, ai sensi del quale l’iniziativa economica privata è sì libera, ma “non può svolgersi (…) in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà,
    alla dignità umana”. Orbene, mentre per i rapporti di lavoro privati le linee guida sono indicate dall’art.41 Cost., per i rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica
    amministrazione a dettare i principi informatori sono proprio gli artt. 97 e 98 della
    Costituzione, i quali, oltretutto, al concetto di libertà dei fini, propria dell’iniziativa economica privata, sostituiscono quello dei vincoli all’imparzialità, al buon andamento
    e al perseguimento dell’interesse pubblico.
  2. Atti organizzativi, determinazioni organizzative e misure per
    la gestione dei rapporti di lavoro.
    Nel settore pubblico contrattualizzato i rapporti di lavoro sono disciplinati dalle
    disposizioni del Capo I, Titolo II, del Libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti
    di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.
    Lgs. 165/2001 (art.2, comma 2), tra le quali si possono in questa sede segnalare
    quelle dettate in materia di mansioni (v., rispettivamente, l’art.2103 c.c. e l’art.52 D.
    Lgs. 165/2001). La legge 20/5/1970, n°300, e successive modificazioni e integrazioni
    (c.d. statuto dei lavoratori) si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal
    numero dei dipendenti (art.51, comma 2, D. Lgs. 165/2001).
    I rapporti di lavoro sono regolati contrattualmente e le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque
    trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi (artt.2, comma 3, e 45,
    comma 2, D. Lgs. 165/2001).
    Disciplinati da norme di diritto pubblico rimangono gli aspetti relativi alla c.d.
    macro-organizzazione: le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione
    degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della
    titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive (art.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001).
    Ai sensi dell’art.89 D. Lgs. 267/2000, gli Enti Locali disciplinano, con propri
    regolamenti, in conformità allo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei
    servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e
    secondo principi di professionalità e responsabilità. La potestà regolamentare degli
    Enti Locali si esercita, tenendo conto di quanto demandato alla contrattazione
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    si esercita, tenendo conto di quanto demandato alla contrattazione collettiva nazionale, nelle seguenti materie: a) responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori
    nell’espletamento delle procedure amministrative; b) organi, uffici, modi di conferimento della titolarità dei medesimi; c) principi fondamentali di organizzazione degli
    uffici; d) procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
    e) ruoli, dotazioni organiche e loro consistenza complessiva; f) garanzia della libertà
    di insegnamento ed autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica,
    scientifica e di ricerca; g) disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra impiego nelle pubbliche amministrazioni ed altre attività e casi di divieto di cumulo di
    impieghi e incarichi pubblici.
    I profili di c.d. micro-organizzazione e la concreta gestione delle risorse umane,
    invece, risultano attratti dal diritto privato: le determinazioni organizzative e le
    misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, sono assunte, nell’ambito
    delle legge e degli atti organizzativi di cui all’art.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001, dagli
    organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro
    (art.5, comma 2, D. Lgs. 165/2001). Così anche l’art.89, comma 6, T.U. Enti Locali:
    “Nell’ambito delle leggi, nonché dei regolamenti di cui al comma 1, le determinazioni
    per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro
    sono assunte dai soggetti preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato
    datore di lavoro”

MOBBING O BOSSING: DI COSA SI TRATTA?

Mobbing esempi e tipologie

Esistono diversi tipi di mobbing, ecco qui di seguito alcuni esempi e tipologie:

  • Mobbing dal basso o down-up: Il mobber è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima. Accade quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti, in una sorta di ammutinamento professionale generalizzato. I casi di mobbing dal basso sono comunque abbastanza rari, in Italia la percentuale è minore del 10%.
  • Mobbing gerarchico: Il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima: un dirigente, un capo reparto, un capufficio. Questo tipo di mobbing comprende tutti quegli atteggiamenti riconducibili alla tematica dell’abuso di potere, cioè dell’uso eccessivo, arbitrario o illecito del potere che un ruolo professionale implica.
  • Bossing o mobbing strategico: l’attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi, che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo. E’ prassi frequente nelle imprese che hanno subito ristrutturazioni, fusioni, cambiamenti che abbiano comportato un esubero di personale difficile da licenziare.
  • Mobbing orizzontale: è quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione lavorativa per motivi d’incompatibilità ambientale o caratteriale, ad es. per motivi etnici, religiosi, sessuali etc.

Patolgie della vittima

Questo odioso fenomeno del mobbing, può rappresentare per la vittima un grave problema, non solo lavorativo ma anche sociale e familiare e, soprattutto può avere gravi ripercussioni sulla salute: la patologia psichiatrica più frequentemente associata al mobbing è il disturbo dell’adattamento; esso si compone di una variegata sintomatologia ansioso-depressiva come reazione all’evento stressogeno.

Fra le conseguenze rientrano la perdita d’autostima, depressione, insonnia, isolamento. Inoltre il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono i disturbi della socialità: nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi.

In Italia il numero di vittime del mobbing è stimato intorno a 1 milione e 200 mila, con prevalenza tra i quadri e i dirigenti, più che altro nel settore pubblico e in quello dei servizi. Negli ultimi dieci anni i casi di mobbing denunciati hanno avuto un incremento esponenziale. Non dimentichiamo poi che proprio per i suoi effetti, il mobbing ha un forte costo sociale, stimato in circa il 190% superiore al salario annuo lordo di un dipendente non mobbizzato.

Mobbing lavoro reato penale

Attualmente in Italia non esiste una legge anti-mobbing, pertanto non è configurato come specifico reato penale a sé stante. Per quanto riguarda l’Europa, esiste una risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro (2001/2339) che rappresenta uno dei primi riferimenti normativi in materia; tuttavia il nostro Stato non si è ancora adeguato a tale risoluzione, non essendo ad essa seguita una direttiva che imponga ai paesi membri una legiferazione sul mobbing.

Vi sono comunque delle norme nel nostro ordinamento che ci aiutano nella lotta al mobbing; una prima norma, che riguarda i diritti sacrosanti dell’uomo e assurge a rango di principio costituzionale (pertanto inviolabile) è rappresentata dall’art. 32 Costituzione che afferma: “la salute è un diritto dell’individuo e della collettività…”. Ad essa va affiancato il principio stabilito dall’art 40 Cost. secondo il quale

“l’iniziativa economica privata è libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Dal punto di vista civilistico l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro “di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori”. Tale obbligo, fa si che il datore di lavoro possa essere chiamato a risarcire il danno:

  1. sia al patrimonio professionale (c.d. danno da dequalificazione);
  2. sia alla personalità morale e alla salute latamente intesa (c.d. danno biologico e neurobiologico) subito dal lavoratore.

Ricordiamo infine che in caso di mobbing sul lavoro il lavoratore potrà dimettersi per giusta causa e eventualmente fare richiesta di DISOCCUPAZIONE NASPI. In questo caso le dimissioni sono date in tronco, non c’è bisogno di dare il preavviso. Il lavoratore dovrà comunque procedere legalmente contro l’azienda per tentare di dimostrare il mobbing.

Mobbing sul lavoro sentenze

Vi sono poi una infinità di sentenze della cassazione  in tema di diritto del lavoro che riaffermano l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro atto a sminuire e ledere l’integrità psico-fisica del lavoratore e l’obbligo per lo stesso, di risarcire i danni. Non dimentichiamoci poi i principi stabiliti dallo Statuto dei lavoratori (L. 300/70):

  • Art. 9: tutela della salute e dell’integrità fisica;
  • 13: al dipendente non possono essere date mansioni di livello professionale inferiore a quello d’inquadramento;
  • 15: divieto di atti discriminatori per motivi politici o religiosi;
  • 18: reintegrazione nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento.

Mobbing come dimostrarlo

Uno dei punti più dolenti della materia è come dimostrare di subire il mobbing sul lavoro. Più problematica è quindi la tutela penale dal mobbing. Non vi è nel nostro ordinamento, norme che sanzionano atteggiamenti di vessazione morale o di dequalificazione professionale in quanto tali. Proprio le difficoltà che l’interprete incontra nell’individuare, nell’attuale normativa, un’efficace tutela penale a favore della vittima di mobbing, hanno determinato il proliferare di nuove proposte anche in sede legislativa (tutte che giacciono in Parlamento).


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