23 May
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Assegno divorzile: i criteri per calcolarlo dopo le Sezioni Unite

Cassazione civile, sez. I, sentenza 23/04/2019 n° 11178.

L’art. 5, sesto comma, della Legge n 898/1970 prevede che con la sentenza di divorzio il Tribunale può disporre la corresponsione di un assegno periodico in favore del coniuge che non ha mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive.

Il Giudice dovrà in tal caso procedere tenendo conto dei criteri contemplati dalla norma (condizioni e reddito dei coniugi, ragioni della decisione, contributo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio, proprio o comune), da valutare anche in rapporto alla durata del matrimonio.

La sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite ha decretato il superamento dello “storico” criterio del tenore di vita dei coniugi come parametro di determinazione dell’assegno divorzile, creando notevoli problemi interpretativi ed applicativi, soprattutto rispetto a quei procedimenti ancora pendenti in Cassazione all’epoca della pronuncia.

Con l’ordinanza n. 11178 del 23 aprile 2019 la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha indicato quali siano i criteri e le valutazioni determinanti in materia di assegno divorzile, alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale.

Assegno divorzile: l’evoluzione giurisprudenziale e la pronuncia delle Sezioni Unite

Per circa trent’anni il criterio guida nell’interpretazione dell’art. 5, sesto comma, della legge sul divorzio è stato quello di attribuire all’avente diritto un assegno tale da consentirgli di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

Tale posizione interpretativa, fortemente criticata da quella dottrina timorosa che ciò potesse creare ingiustificate rendite di posizione, è stata poi progressivamente superata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.11504 del 2017  che ha affermato l’orientamento opposto, negando il riconoscimento dell’assegno divorzile al richiedente che fosse economicamente autosufficiente (in tal senso si veda anche la sentenza n. 23602/2017).

L’acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale sorto tra i due contrapposti orientamenti è culminato nel noto intervento delle Sezioni Unite, che con la recente sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 hanno adottato una linea interpretativa di totale rottura rispetto al passato, sintetizzata nei punti che seguono:

a) definitivo abbandono di entrambi i criteri (tenore di vita ed autosufficienza economica del richiedente) posti alla base dei contrapposti orientamenti sopra richiamati;

b) superamento della struttura necessariamente bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno divorzile, abbandonando così la distinzione fondata sulla natura attributiva o  determinativa dei criteri richiamati dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio;

c) disconoscimento di una funzione meramente assistenziale all’assegno divorzile, a favore di una natura composita dello stesso, che alla funzione assistenziale unisce quella perequativa e compensativa;

d) pariteticità ed equiordinazione dei criteri previsti all’art. 5, sesto comma, della Legge n.898/1970;

e) abbandono di una concezione astratta del criterio di “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi”, a favore di una visione concreta, relativa allo specifico contesto coniugale;

f) valutazione necessariamente complessiva dell’intera storia coniugale e prognosi futura, determinando l’assegno in base all’età e allo stato di salute dell’avente diritto, nonchè alla durata del vincolo coniugale;

g) valorizzazione del profilo perequativo – compensativo dell’assegno, accertando in maniera rigorosa il nesso causale esistente tra scelte endo-familiari e situazione del richiedente al momento di scioglimento del vincolo coniugale.

Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno dunque abbandonato la prospettiva individualista fatta propria dalla Corte nel 2017 (Cass.11504/2017) , valorizzando il principio di solidarietà post coniugale nel pieno rispetto degli artt. 2 e 29 della Costituzione.

Diretta conseguenza di tale impostazione è che, al fine di stabilire se ed eventualmente in che misura spetti l’assegno divorzile, il Giudice dovrà procedere secondo l’iter logico sopra delineato.

In primo luogo dovrà comparare, anche d’ufficio, le condizioni  economico – patrimoniali delle parti.

Qualora risulti che il richiedente è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, dovrà accertare rigorosamente le cause di questa sperequazione alla luce dei parametri indicati all’art. 5 sesto comma della  legge n. 898/1970.

In particolare dovrà valutare se ciò dipenda dal contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali in relazione alla sua età e alla durata del matrimonio.

All’esito di tali valutazioni dovrà infine quantificare l’assegno divorzile, rapportandolo non (più) al pregresso tenore di vita familiare né all’autosufficienza economica del richiedente, ma assicurando all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito come sopra indicato.

I chiarimenti della Corte di Cassazione

La pronuncia delle Sezioni Unite ha avuto un effetto dirompente sui processi in corso, incidendo non solo sull’interpretazione del quadro normativo di riferimento ma anche e soprattutto sul piano processuale di selezione delle allegazioni dei fatti rilevanti e di conseguente prova degli stessi.

Ciò è particolarmente evidente per quelle pronunce di appello relative all’attribuzione e quantificazione dell’assegno divorzile già impugnate in Cassazione, ma non ancora definite da quest’ultima all’epoca della pronuncia resa dalle Sezioni Unite.

La I sezione della Corte ha osservato infatti come l’individuazione di una nuova regola giuridica di valutazione comporti molto spesso la valorizzazione di un diverso quadro fattuale ed in particolare di quegli elementi non considerati alla luce della regola previgente perché ritenuti irrilevanti.

Conseguenza di ciò è che la Corte di Cassazione potrà pronunciarsi sull’impugnazione solo se la nuova regola interpretativa affermata dalle Sezioni Unite non abbia reso necessario l’accertamento di nuovi fatti.

In caso contrario la Suprema Corte dovrà cassare con rinvio la sentenza impugnata, con il vincolo per il giudice del rinvio di attenersi alla nuova regola di valutazione e con conseguente riconoscimento alle parti dei poteri di allegazione e probatori derivanti dalla nuova impostazione scaturita dalla pronuncia delle Sezioni Unite.

A conferma di quanto affermato la Corte ha richiamato una recentissima statuizione della giurisprudenza di legittimità che ribadisce che la riassunzione della causa dinanzi al giudice del rinvio, conseguente alla cassazione della sentenza, instaura un processo chiuso in cui è precluso presentare nuove domande, eccezioni e conclusioni, salvo che queste siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 5137 del 2019).

Nel caso di specie la Corte ha concluso dunque che la decisione impugnata, poiché resa in applicazione di una regola interpretativa ormai superata dalla ben nota pronuncia delle Sezioni Unite, dovesse essere cassata con rinvio ai giudici d’appello per un nuovo esame della questione.f:altalex.it


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