La difesa dalla cartella di Agenzia Entrate Riscossione (Aer): dal ricorso in autotutela all’istanza di sospensione, dalla rateazione alla richiesta di mediazione, per finire alla causa.
Quante sono le vie per difendersi da una cartella di pagamento di Agenzia Entrate Riscossione? Il tradizionale giudizio in tribunale è solo l’ultima spiaggia di una strada che, comunque, conosce tante soluzioni alternative. Certo, in tutti i casi c’è sempre bisogno della collaborazione da parte dell’Agente della riscossione. Solo quando quest’ultimo è totalmente indifferente alle istanze del contribuente non c’è che il ricorso al giudice come estrema tutela. Di fatto, il contribuente che voglia prima sperimentare soluzioni alternative – e più economiche – può ad esempio ricorrere all’autotutela, all’istanza di sospensione (sicuramente molto efficace in determinati casi) o alla mediazione-reclamo. Cerchiamo quindi di comprendere cosa fare quando si riceve una cartella di pagamento e quali sono le mosse da compiere prima di procedere con l’impugnazione.
La prima cosa da fare, quando si riceve una cartella di pagamento, è tentare di “bloccarla” ossia di sospendere la sua efficacia esecutiva. Se la cartella viene sospesa, infatti, Agenzia Entrate Riscossione non può eseguire né pignoramenti, né fermi auto, né ipoteche. Insomma, l’esecuzione forzata esattoriale viene bloccata in attesa di una decisione definitiva sulla legittimità della cartella stessa.
Per sospendere una cartella di pagamento, l’avvocato tradizionale ti dirà che c’è bisogno di un ricorso al giudice e che sarà quest’ultimo, alla prima udienza, a decidere se bloccare o meno l’efficacia esecutiva della cartella. Ciò è corretto, ma non è l’unico rimedio. Ne esiste un altro, sicuramente più efficace, veloce ed economico, che è quello concesso dalla legge di stabilità del 2013 POI modificata due anni fa. Tale possibilità – che va comunemente sotto il nome di «istanza cartelle pazze» – consente di bloccare ogni mossa di Agenzia Entrate Riscossione su segnalazione, da parte del contribuente, di una presunta irregolarità della cartella di pagamento. In questo frangente, l’esattore è tenuto a verificare la regolarità della pretesa di pagamento consultandosi con l’ente creditore; e se, entro 220 giorni, il contribuente non riceve risposta, la cartella si considera annullata definitivamente. Insomma, al contribuente basta chiedere la sospensione della cartella presentando, allo sportello di Agenzia Entrate Riscossione o, in via telematica, tramite il suo sito, una semplice istanza con il cosiddetto «modello SL1» che puoi scaricare qui. A questo punto tutto si blocca: l’esattore non può fare pignoramenti, non può iscrivere ipoteche, non può bloccare l’auto, in attesa di decidere sull’istanza. Il silenzio per oltre 220 giorni si considera accoglimento della contestazione e quindi la cartella non va più pagata. Il tutto senza spendere un euro e senza bisogno di avvocati.
Se sono già decorsi i 60 giorni dalla notifica della cartella o se il vizio da te lamentato è diverso da quelli che abbiamo appena elencato al paragrafo precedente puoi sempre chiedere un annullamento della cartella di pagamento tramite un’istanza di autotutela. In questo caso è necessario che l’istanza sia spedita sia ad Agenzia Entrate Riscossione che all’ente titolare del credito. Anche in questo caso puoi procedere con raccomandata a.r. o con pec, senza necessità della difesa di un avvocato e senza pagare un euro. Due sono i problemi di questa procedura:
Attenzione: l’autotutela non sospende i termini per fare ricorso al giudice
Contro le cartelle illegittime c’è la possibilità di presentare un reclamo al Garante del Contribuente. Si tratta di una segnalazione che può essere fatta, in carta semplice, senza bisogno di avvocato, in carta semplice e senza limiti di contenuto o di termini. Anche questa soluzione presenta degli svantaggi:
L’utilità di una segnalazione al Garante del Contribuente deriva dalla forza persuasiva che questi ha sugli uffici pubblici e dal fatto che il ricorso non pregiudica alcuna delle altre possibilità del contribuente.
Tutte le volte che si intende impugnare la cartella di pagamento di valore non superiore a 20mila euro, presentando un ricorso in tribunale, bisogna prima intraprendere la procedura di reclamo-mediazione, rivolta ad ottenere un annullamento di ufficio prima del giudizio. Si sollecita insomma l’amministrazione a evitare la causa, informandola in anticipo di quelle che saranno le contestazioni che si vuol far valere davanti al giudice. Di solito la mediazione riesce ad evitare le liti per le questioni più semplici e palesemente illegittime.
L’istanza sospende sia la cartella di pagamento che i termini per il ricorso al giudice. Se entro 90 giorni l’Agenzia Entrate Riscossione non risponde positivamente si può procedere al ricorso.
Un’altra soluzione possibile per bloccare la cartella di pagamento di Agenzia Entrate Riscossione è di richiedere la compensazione tra il debito dovuto all’Agente della riscossione (contenuto nella cartella di pagamento) e i crediti vantati dal contribuente nei confronti dell’erario. Esistono particolari condizioni per richiedere la compensazione, posto che non è sempre possibile usufruire di tale possibilità. Cerchiamo, in concreto, di capire in cosa consiste la compensazione della cartella di pagamento. La legge consente al contribuente la possibilità di estinguere le cartelle di pagamento, relativamente a tributi erariali (imposte sui redditi e addizionali, Iva, Registro e altri tributi indiretti, Irap, ecc.) e relativi oneri accessori (compresi gli aggi e le spese a favore dell’Agente della riscossione) mediante compensazione con crediti relativi alle imposte erariali stesse. Per fare ciò, bisogna utilizzare, nei sessanta giorni dalla notifica (pagamento tempestivo), il modello F24 Accise (codice tributo RUOL).
Se il pagamento riguarda solo una parte delle somme dovute, il contribuente può presentare ad Agenzia Entrate Riscossione un modulo specifico (reperibile sul sito di Agenzia Entrate Riscossione), con cui dichiara l’avvenuto pagamento in compensazione tramite F24 Accise e indica eventualmente a quale parte del debito erariale imputare il pagamento. In quest’ultimo caso, la scelta dei debiti da compensare va effettuata:
Non è possibile utilizzare i crediti in compensazione nel modello F24 quando sono presenti debiti iscritti a ruolo per imposte erariali ed accessori, di importo superiore a 1.500 euro, per i quali è scaduto il termine di pagamento. In tali casi, è necessario estinguere prima i debiti erariali iscritti a ruolo e scaduti. Dopo di che, si potranno utilizzare in compensazione i crediti disponibili. Il divieto riguarda esclusivamente l’ipotesi di cosiddetta «compensazione orizzontale» (cioè, fra tributi di diversa tipologia tramite il modello F24) e non la cosiddetta compensazione «verticale», che interviene nell’ambito dello stesso tributo (per esempio, quella Irpef con Irpef).
Chiedendo ad Agenzia Entrate Riscossione la rateazione del debito puoi sospendere la cartella di pagamento, ossia fare in modo che non vengano eseguiti pignoramenti, fermi o ipoteche. Esistono tre possibilità diverse:
Innanzitutto, è necessario dimostrare di non poter pagare il debito secondo i criteri previsti per un piano ordinario. Condizione che si verifica quando l’importo della rata è superiore al 20% del reddito mensile del tuo nucleo familiare, risultante dall’Indicatore della situazione reddituale (ISR) riportato nel modello ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente).
In questo caso, puoi presentare una domanda di rateizzazione, dichiarando di trovarti in una comprovata e grave difficoltà legata alla congiuntura economica per ragioni estranee alla tua responsabilità, allegando la certificazione relativa all’ISEE del tuo nucleo familiare, comprensiva del quadro N- Indicatore della situazione reddituale, debitamente valorizzato.
Una volta presentata l’istanza di rateazione:
Il contribuente decade dalla rateazione se non paga cinque rate anche non consecutive. Il contribuente decaduto può riottenere la dilazione a condizione che paghi tutte le rate non versate in un’unica soluzione.
Eccezionalmente, il contribuente che non ce la fa a pagare le rate della dilazione può chiedere la proroga della rateazione in corso, al massimo per una volta.
In pratica, in caso di comprovato peggioramento della situazione di obiettiva difficoltà economica (temporanea o grave), il contribuente può chiedere, in relazione alla rateazione (ordinaria o straordinaria) già concessa, la proroga per un ulteriore periodo di tempo: ordinario, in 72 rate, o straordinario, in 120 rate. A condizione però che ricorrano le condizioni fissate per le relative rateazioni.
La proroga può essere richiesta una sola volta e può prevedere, su richiesta del contribuente, rate di importo variabile e crescente per ciascun anno, anziché un piano a rate costanti. Se non è accolta la richiesta di proroga straordinaria, il debitore può comunque richiedere quella ordinaria. Il mancato accoglimento deve essere comunicato dall’Agente della Riscossione.
L’istanza non sospende eventuali procedure esecutive già in corso.
Qualora Agenzia Entrate Riscossione abbia già avviato il pignoramento, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione, il debitore può chiedere di sostituire ai beni o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai crediti intervenuti, comprensivo del capitale e delle spese. In tal modo i beni pignorati vengono liberati e tornano nella disponibilità del debitore.
Quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese dell’esecuzione e dei crediti dovuti al creditore pignorante e agli eventuali creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese, il debitore può presentare al giudice dell’esecuzione un’istanza (anche orale) di riduzione del pignoramento.
L’istanza può essere proposta in qualsiasi fase della procedura esecutiva, finché non si sia proceduto alla vendita dei beni. La riduzione può essere disposta anche d’ufficio.
Il giudice decide con ordinanza non impugnabile, sentito il creditore pignorante.
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