Il mantenimento dei figli maggiorenni non autonomi economicamente dopo la separazione o il divorzio
Il mantenimento dei figli ex art. 147 cc e 155 cc, derivante dalla separazione o dal divorzio dei coniugi, continua anche dopo la maggiore età dei figli e dura fino a quando i figli non hanno raggiunto l’indipendenza economica, l’obbligo di mantenimento non viene meno per il protrarsi degli studi, per i regali ricevuti da altri parenti o dalla nuova convivenza dell’altro genitore.
del divorzio
La separazione e il divorzio dei coniugi determinano una serie di conseguenze, non solo personali, ma anche (soprattutto) economiche, del resto, è inutile negarlo, dopo la separazione o dopo il divorzio entrambi i coniugi si trovano a fare i conti con un diverso tenore di vita (inteso in senso economico).
I problemi economici non riguardano solo l’aumento dei costi, infatti, entrambi i coniugi si trovano ad affrontare spese duplicate (due appartamenti, due telefoni, duplici utenze acqua, luce, gas ecc.).
Le complicazioni sorgono anche per esigenze più concrete come l’abitazione, basta pensare alla sorte della casa familiare, del resto, se durante il matrimonio un’abitazione (la locazione di una casa) era sufficiente per entrambi, dopo la separazione, è possibile che almeno uno dei due coniugi dovrà trovarsi (e pagare) una nuova abitazione (basta pensare all’ipotesi in cui solo uno dei due coniugi è proprietario dell’abitazione, perché acquistata prima del matrimonio).
Non è, neppure, da escludere che saranno entrambi i coniugi a doversi trovare una diversa sistemazione abitativa (si pensi all’ipotesi di una abitazione in affitto durante il matrimonio, il cui canone di locazione non può essere sostenuto solo da uno dei due coniugi).
La fonte degli obblighi verso i figli durante il matrimonio
Quelli sopra indicati, di solito, non sono solo problemi economici (personali) degli ex coniugi, ma sono un ulteriore motivo di scontro e di conflitto tra i due ex coniugi, a questa breve carrellata occorre aggiungere tutte le liti ingenerate per giungere alla quantificazione del mantenimento per il coniuge debole o per i figli e le liti derivanti per quantificare la durata di detto mantenimento.
Infatti, in presenza di figli sorgono anche gli obblighi di mantenimento verso la propria prole. Questi obblighi sono codificati nell’art. 147 c.c. rubricato con il titolo di “Doveri verso i figli” il quale dispone che “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”. Anche se l’art. 147 c.c. fa riferimento ai figli nati durante il matrimonio, oggi, anche dopo la riforma ex legge del 10 dicembre 2012 n, 219, relativa alla sostanziale equiparazione dei figli nati durante o fuori dal matrimonio, (qui si può leggere l’articolo sulla riforma attuata e da attuare) si può dire che tali obblighi sorgono sempre a favore dei figli e a carico dei genitori (uniti o meno in matrimonio).
Questi obblighi prima che giuridici sono anche morali e sociali “l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (articoli 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 5652 del 2012 e 5586 del 2000), ed irrilevante, ai fini dell’an e del quantum del mantenimento del figlio minore, dei contributi eventualmente corrisposti da terzi non giuridicamente obbligati” (Cass. civ. sez. I, del 11 settembre 2012 n. 15162)
La fonte degli obblighi verso i figli dopo la separazione e il divorzio
Nel momento in cui sopraggiunge la crisi del matrimonio il codice prevede, coerentemente con quanto indicato nell’art. 147 c.c., che i doveri di mantenimento verso i figli continuano anche dopo la fine del matrimonio (separazione e divorzio) e l’art. 155 c.c. rubricato con il titolo di “Provvedimenti riguardo ai figli” stabilisce che “ … il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi. Per realizzare tali finalità il giudice che pronuncia la separazione dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. [….] fissando la misura e il modo con cui ciascuno dei coniugi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli […..] ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
Definizione di figli
Con la locuzione “figli” il legislatore intende i figli di entrambi i genitori che si separano, non rientrano in questa categoria (e, quindi, non c’è obbligo di mantenimento) per i figli di uno solo dei coniugi (c.d. figli unilaterali), per comprendere meglio il principio si pensi ai figli avuti da un precedente matrimonio o da una precedente relazione, per questi figli il coniuge non genitore non ha nessun obbligo di mantenimento in caso di separazione e divorzio.
Per cui, presupposto per l’assegno di mantenimento dei figli (ex art. 155 c.c.) è che ci siano figli di entrambi i coniugi, in presenza di figli di uno solo dei coniugi (unilaterali) non è possibile che al coniuge (non genitore) possano essere imposti obblighi di mantenimento ex art. 155 c.c. (il quale, si ripete, presuppone il rapporto di filiazione in capo ad entrambi i coniugi).
Il principio per il quale non sorgere l’obbligo di mantenimento per il figlio di uno solo dei due coniugi, non muta, neppure, se il figlio unilaterale abbia convissuto con i coniugi durante il loro matrimonio e tale principio non è, neppure, scalfitto, dalla circostanza che al mantenimento del figlio unilaterale abbiano provveduto entrambi i coniugi durante il matrimonio (Cass. civ. sez. I, del 4 dicembre 2012 n. 21675).
La legittimazione a chiedere il mantenimento
La richiesta del mantenimento (o la legittimazione a chiedere il mantenimento) spetta al coniuge, quando i figli sono minorenni, in presenza, invece, di figli maggiorenni, non autosufficienti, ma conviventi con uno dei due coniugi, la domanda di mantenimento può essere fatta dal coniuge anche in sede di separazione e divorzio, in questa ipotesi ci sarebbe una legittimazione concorrente tra il figlio e il genitore con il quale convive, ferma, ovviamente, la legittimazione del figlio maggiorenne ad agire personalmente (però non in sede di separazione e divorzio). Questi principi sono stati espressamente ripresi dalla giurisprudenza “E’ incontroverso che il genitore convivente col figlio minorenne, ovvero maggiorenne ma non autosufficiente, è legittimato jure proprio ad ottenere dall’altro coniuge il contributo per il mantenimento del figlio, il quale e’ a sua volta munito di concorrente legittimazione (Cass. citata; nonchè Cass. nn. 21437/2007, 13184/2011) ad agire in via prioritaria per ottenere il versamento diretto del contributo, e, in senso speculare ma opposto, per resistere all’iniziativa giudiziaria assunta dal genitore che non intenda assolvere alla sua obbligazione. La legittimazione personale del genitore convivente presuppone la convivenza col figlio minorenne ovvero maggiorenne ma non autosufficiente e sussiste finche’ persiste tale condizione e sempre che il figlio non abbia agito in via autonoma (Cass. n. 11320/2005) esplicando la sua personale legittimazione basata sulla sua personale titolarità del diritto al mantenimento (Cass. di recente n. 13184/2011). Siffatta costruzione esegetica non è mutata a seguito dell’introduzione dell’articolo 155 quinquies c.c., non applicabile però nella specie ratione temporis, che prevede al comma 1 che “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto” che incide sulle sole modalità attuative di tale diritto.” (Cass. civ. sez. I del 13 dicembre 2012 n. 22951). “Deve ritenersi che, non essendo intervenuta una sostanziale modifica degli assetti normativi che disciplinano gli obblighi di entrambi i genitori nei confronti dei figli, ancorche’ maggiorenni, la legittimazione del coniuge convivente (definita normalmente “concorrente”, ma anche, da qualche autore, “straordinaria”) ad agire iure proprio nei confronti dell’altro genitore, in assenza di un’autonoma richiesta da parte del figlio, per richiedere tanto il rimborso, pro’ quota, delle spese gia’ sostenute per il mantenimento del figlio stesso, quanto il versamento di un assegno periodico a titolo di contributo per detto mantenimento, sussista tuttora (Cass., 24 febbraio 2006, n. 4188). Il giudice, laddove investito da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente, dovra’ quindi (sussistendone i presupposti) riconoscere in ogni caso il diritto al contributo fatto valere dal genitore che abbia avanzato la relativa domanda, salva la facolta’ di modulare in concreto il provvedimento, prevedendo un “versamento” (termine di per se’ maggiormente aderente alla regolamentazione di un mero aspetto attuativo del diritto) nelle sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne, ovvero in parte all’uno ed in parte all’altro. Assume, quindi, rilievo giuridico l’inerzia del figlio maggiorenne alla percezione dell’assegno di mantenimento, essendo comunque salva la possibilita’ per lo stesso di iniziare un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente (Cass., Sez. 1 , 24.12.2006, n. 4188; Cass., Sez. 1 , 16.7.1998, n. 6950; Cass., Sez. 1 , 10849/1996; Cass. Civ., Sez. 1 , 12.3.1992, n. 3019; Cass. Civ., Sez. 1 , 7.11.1981, n. 5874), nonche’ salvo il diritto del figlio stesso di intervenire nel procedimento relativo alla determinazione e all’attribuzione dell’assegno (Cass., 19 marzo 2012, n. 4296)”. (Cass. civ. sez. I del 10 gennaio 2014 n. 359).
Modifica, riduzione o estinzione del mantenimento
Una volta quantificato il mantenimento per i figli, potrebbero verificarsi delle circostanze che potrebbero mutare (aumentare, ridurre o estinguere) detto mantenimento. Si può chiedere l’aumento del mantenimento se la crescita del figlio comporta l’aumento delle spese e contemporaneamente il coniuge obbligato al mantenimento ottiene aumenti di reddito (dovuti a miglioramenti lavorativi o al progredire della carriera) Cass. civ. sez. I, del 17 gennaio 2014 n. 920
Sicuramente non comporta estinzione o riduzione del mantenimento per il figlio l’eventuale nuova convivenza del genitore (affidatario del figlio), questo perché il convivente non ha obblighi di mantenimento di un figlio non proprio, al massimo la nuova convivenza dell’altro coniuge potrebbe essere una causa per una nuova quantificazione dei rapporti patrimoniali tra i due coniugi.
Il mantenimento dei figli non termina con il raggiungimento della loro maggiore età di questi ultimi, ma l’obbligo del mantenimento continua fino a quando i figli non saranno economicamente autosufficienti.
Da quanto detto quindi, si deduce che la cessazione dell’obbligo di mantenimento non è automatico al raggiungimento della maggiore età, ma, soprattutto, (in altri termini), di fatto, si potrebbe anche sostenere che non c’è un limite di tempo certo superato il quale l’obbligo di mantenimento cessa automaticamente.
Elementi necessari per eliminare il mantenimento
È, però, evidente che il legislatore non intende imporre (in eterno) al genitore separato o divorziato il mantenimento del figlio maggiorenne, quindi, lo stesso ordinamento offre al genitore una tutela, quanto meno, nelle ipotesi patologiche. Infatti, il genitore per liberarsi dell’obbligo di mantenimento deve provare che il figlio è diventato economicamente autosufficiente.
Del resto, è principio consolidato in materia di “obblighi di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni quello secondo il quale l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, ex art. 147 e 148 c.c., non cessa, automaticamente, con il raggiungimento della maggiore del figlio, ma dura finché il genitore interessato alla dichiarazione della cessazione dell’obbligo stesso non provi che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, oppure che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso figlio così Cass. civ. sez. I, del 26 settembre 2011 n. 19589” (Cass. civ. sez. VI, del 29 ottobre 2013, n. 24424)
Raggiunta la maggiore età il figlio non ha l’obbligo di cercarsi un lavoro, ma può continuare la propria istruzione, infatti, neppure, l’attività scolastica del figlio (dopo la maggiore età) è un elemento che elimina il mantenimento, sia perché non può considerarsi attività lavorativa retribuita, sia perché, lo studio – in quanto tale – non rappresenta un atteggiamento di rifiuto del lavoro o di rifiuto verso il raggiungimento dell’indipendenza economica. Salvo, ovviamente, ipotesi patologiche nelle quali lo studio (es. iscrizione all’università) è solo di “facciata” (es. nessun esame sostenuto in 5 anni di iscrizione universitari) o i risultati scolastici siano palesemente scarsi o inesistenti. In altri termini, il figlio maggiorenne può continuare ad avere il diritto ad avere il mantenimento se la sua formazione scolastica è reale ed è confermata da risultati.
L’attività economica (che determina la fine dell’obbligo di mantenimento) deve essere stabile e deve essere conforme alle attitudini del figlio. Quindi, per far cessare l’obbligo di mantenimento non è sufficiente un’attività economica saltuaria o precaria, la quale, al massimo, può dar vita ad una riduzione del mantenimento.
Non è equiparabile ad un introito derivante da attività economica e, quindi, non sono causa di riduzione o estinzione del mantenimento per il figlio, gli aiuti (veri e propri regali) che il figlio riceve dai propri nonni, posto che il figlio non ha diritto ad ottenere o pretendere tali aiuti dai nonni (di fatto, si tratta di vere e proprie donazioni).
Equiparabile all’attività economica (intesa come introito da reddito) è il possesso di un patrimonio che rendono il figlio autosufficiente, in tali ipotesi potrebbe cessare l’obbligo del mantenimento; soprattutto se il figlio “ormai ultratrentenne, dotato di patrimonio personale e ciò nonostante, ancora dedito, a spese del padre, agli studi universitari in sede diversa dal luogo di residenza familiare, senza avere ingiustificatamente né conseguito alcun correlato titolo di studio né trovato, al pari del fratello minore, una pur possibile occupazione remunerativa” (Cass. civ. sez. I del 6 dicembre 2013 n. 27377).
Il genitore per liberarsi dell’obbligo di mantenimento deve provare che il mancato svolgimento di una attività economica del figlio dipende da un atteggiamento di inerzia lavorativa del figlio o da un suo rifiuto ingiustificato di accettare offerte di lavoro ricevute o altrimenti trovate (il rifiuto di un’offerta di lavoro inferiore alle capacità e competenze del figlio potrebbe non essere un motivo sufficiente per eliminare il mantenimento).
Necessità dell’intervento del giudice per l’eliminazione del mantenimento
Una volta raggiunta l’indipendenza economica, il diritto al mantenimento si estingue. Però, è opportuno precisare che anche nelle ipotesi in cui viene meno il mantenimento, il genitore non può sospendere “automaticamente” il pagamento dell’assegno di mantenimento, (in altri termini l’estinzione dei versamenti a titolo di pagamento non è automatica), ma deve essere sancita dal giudice, il genitore deve chiedere al giudice la riduzione e/o l’estinzione dello stesso, se non segue questa strada il genitore obbligato al mantenimento potrebbe commettere un reato sospendendo il versamento di quanto dovuto a titolo di mantenimento. Il fatto, che nel periodo tra la raggiunta indipendenza economica e la decisione del giudice sull’estinzione del mantenimento il coniuge versi somme (di fatto) non dovute non determina un danno per il genitore, poiché, quest’ultimo, potrà sempre chiedere la restituzione di quanto versato senza obbligo.
Inoltre, una volta raggiunta l’indipendenza economica è possibile che il figlio perda il lavoro e, di conseguenza, perda l’autonomia economica, in queste ipotesi, non ri-sorge l’obbligo di mantenimento, ma al massimo, il figlio che si trova in ristrettezze economiche avrà diritto agli alimenti.
È opportuno ricordare che il mantenimento dei figli è regolato anche dal punto di vista fiscale, in particolare, il fisco regola (in generale) la ripartizione tra i coniugi separati delle detrazioni per i figli a carico, il sistema tributario italiano considera anche il versamento di assegni di mantenimento per i figli, infatti, il genitore che versa il mantenimento, riceve un piccolo riconoscimento dallo Stato in quanto può dedurre tali somme dal proprio reddito, il fisco regola anche la posizione del genitore che riceve l’assegno, quest’ultimo può detrarre l’assegno dal proprio reddito. fonte fan page.
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