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Deve essere qui premesso che le prestazioni economiche che la legge pone a carico dell’INAIL rientrano nel sistema della cosiddetta “sicurezza sociale” e non possono prevedere, per motivi del tutto comprensibili (18), un esaustivo ristoro del danno ma esclusivamente un indennizzo, indennizzo per il quale, altrettanto comprensibilmente, operano diverse presunzioni giuridiche. Ciò specificato, la nuova disciplina legislativa prevede che le menomazioni dell’integrità psicofisica di grado pari o superiore al 6 percento ed inferiore al 16 percento vengano indennizzate in capitale sulla scorta di una tabella, aggiornata via via nel tempo, che stabilisce il valore economico di ogni punto, differenziato solo per l’età e per il sesso del lavoratore leso. Per le menomazioni rientranti in tale fascia di entità (6-15%) v’è l’assoluta previsione di assenza di ripercussioni sulla capacità di produrre reddito. Diversamente, le menomazioni di grado pari o superiore al 16 percento vengono indennizzate attraverso la costituzione di una rendita (19); per tali più gravi detrimenti della integrità psicofisica la legge ha previsto che, alla quota di rendita costituita nel suo ammontare per il solo titolo areddituale del danno biologico in sé e per sé considerato, debba essere aggiunta una ulteriore quota erogata per le ripercussioni, presunte per legge, che la lesa efficienza psicofisica esercita sulla capacità lavorativa (20).Rammentando come, in responsabilità civile, il danno patrimoniale, oltre che ad esistere, deve essere, sulla base dell’ordinario criterio dell’onere probatorio, di volta in volta specificatamente dimostrato sia nei termini del danno emergente che in quelli del lucro cessante, e sottolineando come l’INAIL eroghi la relativa prestazione non a titolo di danno patrimoniale ma a quello di “potenziale” riduzione della capacità lucrativa, la soluzione legislativa per la copertura indennitaria delle ripercussioni “dislavorative” del danno biologico è stata quella di commisurare la quota di rendita ulteriore a quella erogata al solo titolo della menomazione, sulla base dei seguenti “coefficienti” elencati in una tabella emanata con il d.m. del 12 luglio 2000 (21) e crescenti con il crescere della entità della menomazione.
“Omissis”
Per espressa previsione di legge l’attribuzione di un coefficiente superiore a quello di fascia deve basarsi sulle ripercussioni che la menomazione esercita sull’“attività svolta” e sulla “categoria di appartenenza” del leso e, nei casi che comportino la perdita del lavoro per il quale si è verificato l’evento dannoso, sulla sua “ricollocabilità”. Come si legge nel d.m. 12 luglio 2000 e come da espresse indicazioni dell’Istituto assicuratore, per “Categoria di appartenenza” si intende il complesso costituito dall’attività che il soggetto svolge in concreto e da quelle che può svolgere in ragione del suo patrimonio bio-attitudinale – professionale (cultura, sesso, età, condizione psicofisica, ecc.) tenuto conto delle opportunità di reinserimento lavorativo offerte attraverso i servizi di sostegno e di collocamento mirato. Il giudizio sulla “ricollocabilità” (25) deve tener conto della concreta “possibilità che le residue capacità psicofisiche siano utilizzabili per attività lavorative anche mediante interventi di supporto e ricorso a servizi di sostegno”. Non sono, quelli sopra espressi, concetti di semplice ed immediata trasposizione pratica. La circolare INAIL, di supporto alla prima applicazione del nuovo regime indennitario (26), spiega: “La «tabella dei coefficienti» è stata costruita dal legislatore con criteri che prescindono dalle specifiche e contingenti peculiarità delle effettive modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, nonché dalle concrete condizioni socio-economiche del mercato del lavoro. In questa chiave vanno interpretati ed applicati i concetti di «attività svolta», «categoria di appartenenza» e «ricollocabilità». Quanto all’attività svolta, va preso in considerazione il tipo di attività nelle sue generali connotazioni, indipendentemente dalle condizioni contingenti e peculiari dell’organizzazione del lavoro in cui in concreto il danneggiato operava. La nozione di categoria di appartenenza è definita espressamente dal legislatore e, comunque contenendo il riferimento al «complesso delle attività adeguate (…)», è necessariamente da rapportare alla generale configurazione delle attività stesse. Per quanto attiene alla ricollocabilità, va osservato che il riferimento alla «possibilità che le residue capacità psicofisiche siano utilizzabili (…)» prescinde dall’effettivo ricollocamento e, quindi, la ricollocabilità va valutata con riguardo esclusivo alle potenzialità lavorative del soggetto, tenendo conto anche dei risultati degli interventi riabilitativi effettuati nonché dei benefici che il soggetto può ricavare dagli interventi di supporto ambientali e dai servizi di sostegno effettivamente fruibili”.
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