hi impedisce alle altre automobili di accedere al cortile comune risponde del reato di violenza privata.
Questo è quanto emerge dalla sentenza 19 dicembre 2019, n. 51236 (testo in calce) della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso vedeva un uomo essere ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 610 c.p., perché si rifiutava di rimuovere la propria automobile parcheggiata all’ingresso di un cortile in uso anche ad altro condomino, così impedendo a quest’ultimo di accedere al garage e di prelevare attrezzi di sua proprietà che erano ivi depositati.
La norma dispone che chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa sia punito con la pena della reclusione fino a quattro anni, aumentata nel caso in cui ricorrano le circostanze aggravanti di cui all’art. 339 c.p., ovvero se la violenza o la minaccia siano commesse con armi, da persone travisate, da più persone riunite, con scritto anonimo, in modo simbolico o valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o solo supposte.
La disposizione mira quindi a tutelare l’interesse dello Stato a garantire a ciascun soggetto la libertà morale, ovvero la facoltà di autodeterminarsi liberamente, di essere libero e di sentirsi come tale, sempre nel rispetto dei limiti imposti dall’ordinamento giuridico. Il bene giuridico tutelato è, quindi, la libertà psichica della persona, che non deve essere pregiudicata da un qualsivoglia comportamento violento o intimidatorio idoneo a determinare una coartazione, diretta o indiretta, sulla libertà di azione delle persone.
Secondo la difesa dell’imputato nella fattispecie non poteva ritenersi sussistente la fattispecie di violenza privata in quanto il rifiuto addebitato non poteva dirsi equiparabile alla violenza o alla minaccia richieste per l’integrazione del reato.
Di diverso avviso la Cassazione: secondo gli ermellini, infatti, per quanto attiene la configurabilità del reato di cui all’art. 610 c.p., la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della sussistenza della fattispecie, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (Cass. pen., Sez. V, 24 febbraio 2017, n. 29261; Cass. pen., Sez. V, 13 aprile 2017, n. 48369).
Con tale decisione la Suprema Corte conferma l’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, ritenuto oramai assolutamente dominante, che si inserisce in un fenomeno in crescente aumento, che vede dette condotte punibili non solo nel caso in cui il soggetto agente impedisca l’accesso ad un cortile comune ma anche qualora detta condotta impedisca l’accesso ai garage condominiali. altalex.it
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