15 Apr
15Apr

Si tratta della responsabilità dei beni in custodia disciplinata dall’art. 2051 c.c.: si qualifica in termini di responsabilità oggettiva secondo cui il nesso causale tra il bene e il danno rende responsabile chi è il custode del medesimo bene che ha causato l’evento, senza necessità di indagare l’aspetto psicologico.

Su questo argomento è intervenuta di recente la Suprema Corte con la decisione del 27 marzo 2020, n. 7580.


Si riassume brevemente la vicenda.

Caduta dalle scale condominiali,la vicenda

In primo grado la condomina cita in giudizio il condominio affermando di aver subito lesioni da caduta con danni permanenti a causa della ripida rampa di scale che conduce al piano interrato dell’edificio, resa scivolosa dalla pioggia, sconnessa e priva di trattamento antiscivolo.

Il condominio, costituitosi in giudizio, contesta le asserzioni dell’attrice evidenziando che vi è lo scolo delle acque piovane e relative scanalature per il deflusso oltre alla non necessità del trattamento antiscivolo visto che la pavimentazione è in cemento.

Si costituisce in giudizio anche l’assicurazione del condominio, chiamata da quest’ultimo.

Poiché il tribunale rigetta le domande dell’attrice, questa promuove impugnazione contro la sentenza di primo grado. Anche in seconde cure, l’esito è il medesimo, rigetto delle richieste della condomina, salvo la diversa regolamentazione delle spese processuali.

Entrambe le decisioni fondano la loro motivazione sulla mancanza di prova del nesso di causalità, non avendo la condomina dimostrato che la caduta era avvenuta a causa di pericolo riconducibile al bene.

La Corte di Appello evidenzia altresì la probabilità che la condomina non avesse avuto una condotta adeguata alla situazione, tenendosi al corrimano, anche alla luce del fatto che ha 58 anni.

Si giunge quindi in Cassazione, dove la condomina afferma sostanzialmente che nel precedente grado di giudizio non è stata correttamente valutata la pericolosità intrinseca della rampa e la sua scivolosità, oltre al fatto che le ridotte capacità deambulatorie sarebbero state affermate solo in ragione dell’età.

Il Supremo Collegio ha osservato che nei precedenti gradi era stata fatta corretta applicazione del principio secondo cui ove la cosa in custodia risulti inerte e priva di intrinseca pericolosità, occorre dimostrare -ai fini della sussistenza del nesso causale- che lo stato dei luoghi presenti un’obiettiva situazione di pericolo tale da rendere altamente probabile, se non addirittura inevitabile, il verificarsi del danno.

Poiché la rampa è un bene di per sé statico , l’atteggiamento umano si unisce al modo di essere del bene.

In queste circostanze, il danneggiato deve provare che la pericolosità del bene è derivata dallo stato dei luoghi.

Deve quindi ritenersi che “in ogni caso, l’evento sia attribuibile a caso fortuito consistente nella colpa della danneggiata, che, con buona visibilità, adottando un comportamento ordinariamente cauto, avrebbe potuto evitare la caduta” (Cass. 22 giugno 2016 n. 12895).

Infatti, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’uso della normale diligenza, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento del danneggiato nel dinamismo causale del danno (Cass. 1 febbraio 2018, n. 2481).


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