La questione è stata sollevata rispetto a due figure di reato: il favoreggiamento della prostituzione e il reclutamento, nel corso del giudizio sul caso delle escort che partecipavano alle celebri “cene eleganti” dell’ex Premier Berlusconi. Secondo la Corte d’Appello di Bari, che ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, le norme non tengono conto del fatto che dal dopoguerra ad oggi le cose sono molto cambiate: sono molte le “escort” che decidono liberamente di svolgere questa attività senza alcuna costrizione e persino a livello europeo ormai a questo tipo di attività è riconosciuta la dignità di un’attività economica, lecita a tutti gli effetti, sicchè quest’attività liberamente svolta dalle escort è espressione della libertà sessuale e di impresa, costituzionalmente tutelate. Per i giudici baresi quindi, si rischia di comprimere queste libertà fondamentali, anche perché non è chiara la delimitazione delle condotte punibili.
*sentenza n. 141/2019*
La Consulta però non è d’accordo e, anche se ammette che quella delle escort per il diritto europeo si configura come un’attività economica di scambio di servizi e che secondo la giurisprudenza italiana sarebbe persino soggetta ad imposizione fiscale, quella della prostituzione, resterebbe un’attività contraria all’ordine pubblico e il rapporto che lega il cliente alla prostituta darebbe luogo ad un accordo nullo per illiceità della causa che comporta l’impossibilità di ottenere l’esecuzione per giudiziale delle prestazioni, per ambo le parti. L’assioma centrale di questa affermazione sta proprio nella tesi che la scelta di svolgere questa attività non sarebbe mai effettivamente libera, perché condizionata da situazioni di bisogno economico.
Leggendo la sentenza, tuttavia, viene da pensare che questi supremi giudici, abituati a discutere di principi astratti, abbiano enormi difficoltà a leggere la realtà.
Ragionando in termini puramente giuridici, occorre partire da un principio: i redditi tassabili sono solo quelli che la legge indica espressamente.
Ora, la Cassazione muove dal presupposto che i redditi da meretricio ricadrebbero tra i “redditi diversi” assimilabili a lavoro autonomo, quando l’attività non viene esercitata abitualmente; riconducibili alla “assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere” se abituale.
Dunque, se l’attività di meretricio viene svolta abitualmente, chiaramente siamo fuori dalla sfera dei redditi da lavoro autonomo non abituale.
Però è discutibile che essa possa generare proventi derivanti dall’assunzione di un obbligo di “fare, non fare o permettere” perché, presuppone un ingrediente essenziale: che alla base dell’introito ci sia l’assunzione un obbligo propriamente detto.
Non dimentichiamo che esistono anche i principi europei in materia di libera prestazione di servizi. La Corte di Giustizia Europea con la sentenza 20.11.2001, in causa C-268/99, richiamata dalla stessa Corte Costituzionale, ha affermato apertamente che “la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale rientra nella nozione di attività economiche”.
Il che vuol dire che ogni forma di limitazione sulle modalità di organizzazione di questa attività, che oggi potrebbe essere qualificata e punita come forma di favoreggiamento, potrebbe risultare in contrasto con i principi di libera prestazione dei trattati UE.
Sembra però, che il legislatore nostrano, piuttosto che affrontare un argomento così spinoso e pieno di implicazioni morali, politiche e religiose, preferisca lavarsene le mani e lasciare sbrogliare la matassa ai giudici, siano essi di merito o costituzionali.
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