13 Apr
13Apr

La legge Pinto ( legge 24 marzo 2001 n. 89), mira a dirimere un grosso problema della giustizia italiana e non solo, quello della eccessiva lunghezza dei processi, garantendo in tal modo il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale inerente allo svolgimento di un processo eccessivamente lungo. Qualcosa si fosse di fronte ad un caso di irragionevole durata del processo dunque, è possibile esperire un ricorso per l’equazione riparazione.

. La ratio di tale previsione si rinviene nella necessità di tutelare il principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e costituzionalizzato all’art. 111 Cost. quale corollario del principio del c.d. giusto processo.

Natura giuridica

Nell’incertezza del dato normativo, l’istituto dell’equa riparazione è stato ricondotto dalla giurisprudenza nell’alveo delle riparazioni di natura indennitaria.

Conseguentemente, la relativa obbligazione dello Stato è un’obbligazione ex lege, per danni cagionati nell’esercizio di un’attività lecita.

Durata

È generalmente riconosciuto, a livello nazionale e comunitario, che il procedimento per l’equa riparazione per irragionevole durata del processo debba concludersi nel termine di 2 anni.

In caso di inosservanza di detto termine, il ricorrente può promuovere un nuovo giudizio per chiedere l’equa riparazione per violazione del termine di durata ragionevole nel procedimento ex L. Pinto (Cass., SS.UU., 19/03/2014, n. 6312).

Ambito di applicazione

Indipendentemente dal grado in cui si concludono, il procedimento delineato dalla L. Pinto si applica a:

  • controversie civili;
  • procedimenti penali;
  • procedimenti amministrativi;
  • procedure fallimentari;
  • procedimenti tributari.

È esclusa l’applicazione del procedimento in esame a procedimenti che si svolgono davanti a organi privati di giustizia (Cass. 13/02/2014, n. 3316).

Ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, L. 24/03/2001, n. 89, il termine di ragionevole durata del processo si considera rispettato se non eccede la durata di:

  • 3 anni per i procedimenti di primo grado;
  • 2 anni per i procedimenti di secondo grado;
  • 1 anno per il giudizio di legittimità;
  • 3 anni per i procedimenti di esecuzione forzata: i procedimenti di esecuzione devono essere considerati distintamente rispetto al procedimento di cognizione, di conseguenza i termini devono essere sommati (Cass., SS.UU., 19/03/2014, n. 6312);
  • 6 anni per le procedure concorsuali.

In ogni caso, il termine ragionevole è rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a 6 anni (art. 2, comma 2-ter, L. 24/03/2001, n. 89).

Il processo si considera iniziato, ai fini del computo del termine, con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notifica dell’atto di citazione.

Nell’esecuzione forzata il termine decorre dal pignoramento ex art. 491 c.p.c.

Non è computato il periodo di sospensione del processo e quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa.

3. Competenza

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, L. 24/03/2001, n. 89, la competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione spetta al Presidente della Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il Giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.

La competenza ha carattere inderogabile ex art. 28 c.p.c. Sulla domanda provvede il Presidente o un magistrato da lui designato, diverso da quello del giudizio presupposto.

Stante la struttura bifasica del procedimento assunta a seguito della riforma del 2015, l’Amministrazione convenuta è tenuta a sollevare l’eccezione di incompetenza nell’atto di opposizione, a pena di decadenza. L’incompetenza può essere rilevata, altresì, d’ufficio dal Giudice in udienza.

4. Presupposti

La proposizione della domanda di equa riparazione è subordinata alla sussistenza dei seguenti presupposti:

  • irragionevole durata del processo;
  • attuazione dei rimedi preventivi individuati all’art. 1-ter, L. 24/03/2001, n. 89: tale requisito, richiesto a pena di nullità, è stato previsto dal 01/01/2016 e si applica ai procedimenti la cui durata, dopo il 31/10/2016, eccede i termini ragionevoli;
  • esistenza di un danno;
  • nesso causale tra l’irragionevole durata del processo ed il danno.

Documenti da presentare ai fini del ricorso per equa riparazione : L’art. 3, comma 3, della legge Pinto, riformulato dal governo Monti con l’evidente scopo di mettere i bastoni tra le ruote a tutti coloro che hanno subito un processo e chiedono un giusto risarcimento dallo Stato, prevede oggi che unitamente al ricorso debba essere depositata «copia autentica dei seguenti atti: a) l’atto di citazione, il ricorso, le comparse e le memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata; b) i verbali di causa e i provvedimenti del giudice; c) il provvedimento che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabili».

Nei casi che ho seguito, al posto della copia autentica di atti di cui ero autore ho depositato gli originali e la corte d’appello li ha considerati validi; per tutti gli altri, occorre rivolgersi alla cancelleria per avere la copia autentica. I diritti di copia, se l’estrazione avviene ai fini della presentazione del ricorso per equa riparazione, non sono dovuti.

É opportuno tenere presente questo consiglio:

L’unica cosa da tenere bene presente è che il ricorso per equa va presentato entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il processo e che le sentenze di Cassazione in molti casi passano in giudicato immediatamente, essendo, diciamo così, l’«ultimo grado» di giudizio.

Scaduti i sei mesi, la parte è considerata decaduta dal potere di proporre il relativo ricorso.

Quindi è una decisione che è meglio valutare appena termina il processo.

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