13 May
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La suprema Corte di cassazione, sez Lavoro, con sentenza n 7701 del 6 aprile 2020, ha fissato il principio in base al quale il Giudice, nel quantificare l’indennità risarcitoria in favore del lavoratore ingiustamente licenziato, oltre alla anzianità di servizio e le dimensioni dell’azienda, deve valutare anche le condizioni personali e familiari del dipendente

La sentenza, oggi in commento, trae origine dal licenziamento intimato ad un dipendente alla stregua della l 92/2012; a seguito delle fasi previste dal rito Fornero, il Tribunale dichiarava la illegittimità del licenziamento comminato, condannando l’azienda a risarcire il danno in favore del lavoratore, quantificandolo in venti mensilità

La società datrice interponeva gravame in relazione alla quantificazione del danno, così come effettuata, in quanto del tutto eccessiva relativamente all’anzianità di servizio del lavoratore, alle dimensioni dell’azienda e rispetto alle quantificazioni fatte dallo stesso Tribunale in situazioni analoghe o con maggiore anzianità lavorativa; la Corte di merito confermava la sentenza di primo grado, precisando, altresì, che il Tribunale aveva correttamente quantificato il danno, tenendo conto degli anni di servizio, delle dimensioni dell’azienda e delle condizioni personali del lavoratore, separato con un figlio a carico .

Nel rigettare il reclamo interposto dall’azienda, la Corte di Merito motivava la sua decisione rilevando la correttezza del Tribunale, oltre che con riguardo agli aspetti sopra citati, anche in relazione alla quantificazione fatta nei confronti di altri lavoratori, colleghi del ricorrente, in quanto si trattava di valutazioni inerenti aspetti e peculiarità fra di loro non assimilabili.

Per la Corte di merito il Tribunale aveva esercitato il potere discrezionale conferitogli dall’art 18 L 300/70 che espressamente prevede, nell’ipotesi di licenziamento privo di giustificato motivo oggettivo o giusta causa dedotti dal datore, oltre alla dichiarazione di risoluzione del rapporto, la condanna del datore di lavoro ad una indennità risarcitoria, da determinare tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità ( dell’ultima retribuzione di fatto percepita), in relazione all’anzianità del lavoratore, del numero dei dipendenti occupati delle dimensioni dell’attività economica e del comportamento e condizioni delle parti da motivare espressamente.
Contro tale sentenza veniva interposto ricorso per cassazione, ritenendo la stessa aderire acriticamente alla sentenza di primo grado, senza motivare in modo esaustivo sulle ragioni della lite; si rilevava, altresì, la assenza di motivazione anche in relazione alla differenza di trattamento con altri colleghi di lavoro, anche con carichi familiari ed anzianità superiore a quella del ricorrente.

La corte di legittimità, con la sentenza oggetto del presente commento, rigettava il ricorso, rilevando la correttezza della corte territoriale nell’aver interpretato ed applicato l’art 18 L 300/70, il quale, al quinto comma, espressamente prevede che il giudice può quantificare liberamente il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.

Ad ulteriore conferma di quanto sopra si deduceva, altresì, che l’art 8 L 604/66 prevede procedimenti analoghi per la quantificazione della indennità risarcitoria; si ribadiva l’esistenza di giurisprudenza costante nel prevedere che la quantificazione dell’indennità spetta al giudice di merito senza vincoli di gerarchia tra i vari criteri indicati; di conseguenza rilevava la sua censurabilità in sede di legittimità solo nell’ipotesi di motivazione assente, illogica o contradditoria.

Contrariamente a tali principi, il c.d. jobs act sulle tutele crescenti ( d lgs 23/2015) aveva cercato di introdurre un criterio di valutazione standard del danno limitando il campo solo alla anzianità aziendale; difatti, veniva statuito che l’indennità risarcitoria andava computata in ragione di due mensilità ( dell’ultima retribuzione di riferimento per il computo del TFR) per ogni anno di servizio prestato; comunque, in misura non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità

Quindi, veniva previsto che per gli assunti in epoca successiva al 7 marzo 2015 da aziende con più di quindici dipendenti, era del tutto inibito l’uso di altri criteri di valutazione.

Questo criterio di valutazione è stato oggetto di intervento della Corte costituzionale che, con sentenza 194/2018, è intervenuta dichiarando la illegittimità costituzionale della norma nella parte che va dalle parole ” …di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio…”.

In conseguenza di tale pronunciamento si è riaperto, per via analogica, il ricorso ai criteri indicati dall’art 18 L 300/70 e art 8 L 604/66.

Il ragionamento seguito dalla consulta parte dal presupposto che, limitare la quantificazione del danno esclusivamente alla durata del rapporto, viola i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza, impedendo al giudice di merito di determinare discrezionalmente il risarcimento senza poter valutare altri parametri rilevanti quali il numero dei dipendenti, le dimensioni dell’azienda, il comportamento e le condizioni delle parti.

Sulla scia di tale provvedimento vi sono stati vari provvedimenti di merito in perfetta aderenza a quanto sopra riferito; fra i più significativi possono indicarsi una sentenza, con cui il Tribunale di Napoli, nell’ambito di un licenziamento collettivo, in favore di un lavoratore licenziato con soli tre mesi di anzianità, ha disposto a titolo di risarcimento l’equivalente di quattro mensilità in luogo delle due (cfr Trib. Napoli set 1366/2019); analogamente si sono pronunciati il Tribunale di Bari (sentenza n. 43328/2018) e il Tribunale di Genova.

A mero scopo di completezza, si ritiene opportuno evidenziare che su tale argomento è intervenuto anche il Comitato Europeo dei diritti sociali con un provvedimento con cui, in accoglimento di un ricorso proposto da un’organizzazione sindacale, ha dichiarato il d.lgs. 23/2015 posto in palese violazione dell’art.24 della carta sociale europea, in quanto non prevede né la reintegra né tantomeno dei rimedi idonei a risarcire il lavoratore dei danni effettivamente subiti; analogamente non costituisce un valido deterrente idoneo a congiurare i licenziamenti.
Naturalmente tale provvedimento è stato indicato solo per completezza di esposizione, in quanto di certo non è di nessuna applicazione pratica nel nostro ordinamento. diritto24ore.it


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