20 Mar
20Mar

STUDIO LEGALE ARIELLO



La lesione del diritto del paziente all’autodeterminazione terapeutica rileva quale autonomo presupposto risarcitorio. L’illiceità della condotta medica arbitraria non può infatti essere “compensata” dall’osservanza della lex artis e dalla buona riuscita dell’intervento. Tuttavia, il danno da violazione del consenso non è riconosciuto in re ipsa: spetta al paziente dimostrare che, se fosse stato messo in condizioni di scegliere liberamente, avrebbe concretamente rifiutato il trattamento, oppure lo avrebbe accettato ma a condizioni diverse. La violazione del consenso informato assume particolare rilevanza in ambito civile, costituendo un’autonoma causa di responsabilità sanitaria, a prescindere cioè dalla violazione delle regole dell’arte medica e dall’esistenza quindi di un danno alla salute: più precisamente, in ambito risarcitorio la condotta del curante viene indagata non solo in relazione alla sua attitudine a causare un danno colposo all’integrità psico-fisica del paziente, inteso quale peggioramento del di lui stato anteriore, ma, indipendentemente da ciò, anche come fattore lesivo del diritto all’autodeterminazione terapeutica, cioè del diritto del paziente di deliberare liberamente le scelte che ricadono sulla propria salute.


 è opportuno soffermarsi sulle condizioni necessarie perché possa sorgere il diritto risarcitorio per lesione del consenso informato. In primo luogo, occorre che il paziente subisca un’effettiva e concreta conseguenza dannosa da tale lesione, non potendosi riconoscere un danno in re ipsa (cioè riconducibile al solo fatto della violazione dell’informazione): in altre parole, sussiste responsabilità: o quando il medico viola tout court il consenso del paziente; o quando il medico omette di raccogliere il consenso del paziente o di informarlo adeguatamente, dovendosi però accertare in questi ultimi due casi che siffatta lesione abbia pregiudicato il suo diritto di scegliere di non sottoporsi ad alcun trattamento medico o di sottoporsi a un intervento diverso da quello eseguito. Infatti, l’eventuale condotta lesiva del consenso informato assume rilevanza solo se il paziente sia stato sottoposto ad un intervento che egli, se fosse stato messo in condizioni di scegliere liberamente (ossia essere informato e manifestare le proprie volontà), avrebbe concretamente rifiutato, oppure accettato ma a condizioni diverse. Pertanto, a questi fini accertativi è necessario procedere a una valutazione controfattuale ipotetica, al fine di stabilire se la buona condotta del medico avrebbe o meno portato il paziente ad effettuare scelte diverse. Quanto all’onere della prova, la Giurisprudenza tende ad attribuire al medico l’onere di provare l’avvenuto adempimento dell’obbligazione di corretta informazione, di acquisizione e di ottemperanza del consenso, e invece al paziente l’onere di provare che egli avrebbe rifiutato in tutto o in parte l’intervento eseguito se gli fosse stata concessa la possibilità di esprimersi a seguito di adeguata informazione
In secondo luogo, perché sorga rapporto risarcitorio, occorre che dalla violazione della libertà di scelta derivino a carico del paziente conseguenze pregiudizievoli di apprezzabile gravità, cioè un danno tale che superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e che non sia futile, cioè consistente in meri disagi o fastidi (si pensi alle ipotesi in cui la violazione del consenso informato abbia come conseguenza la sottoposizione del paziente a semplici e banali atti d’accertamento – i c.c.d.d. micro-interventi, come prelievi, misurazione della pressione arteriosa etc. – che egli non avrebbe accettato se avesse potuto liberamente e consapevolmente esprimersi)

  Si veda anche Cass. Civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444, in cui si dice che “la correttezza o meno del trattamento, […], non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di in- formazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso”.Da diritto.it


Per maggiori informazioni scrivici una email oppure visita il nostro sito:

www.studiolegaleariello.it

Segui le nostre pagine Facebook ed Instagram:

Studio Legale Ariello.